Tavola di Polcevera

La “tavola” è costituita da una sottile lamina di bronzo dello spessore di 0,2 cm, alta 38 cm e larga 48 cm. Sulla lamina, che si presenta in buono stato di conservazione, è incisa un’iscrizione in latino disposta su 46 righe, contenente la sentenza che due magistrati romani, i fratelli Minuci Rufi (i cui nomi sono ben visibili in alto nel testo dell’iscrizione), pronunciarono nel 117 a.C. su una questione di confini che divideva i Genuates, gli abitanti di Genova, e i Viturii Langenses, che abitavano nell’alta Val Polcevera. Dal nome dei due estensori la sentenza è nota anche come Sententia Minuciorum. A quell’epoca Genova, città alleata dei Romani, godeva di una preminenza sulle popolazioni dell’entroterra, che oltre a disporre di un proprio territorio (ager privatus), possedevano e coltivavano terreni facenti parte del cosiddetto ager publicus. Il contenzioso era stato originato dal fatto che i Viturii intendevano consolidare ed ampliare e la loro presenza su quest’ultimo, contrastati dai Genuates.

Il reperto fu rinvenuto nel 1506 nel greto del torrente Pernecco a Pedemonte di Serra Riccò da un contadino del luogo, Agostino Pedemonte, mentre era intento a dissodare un pezzo di terreno. [1]La tavola fu venduta ad un calderaio genovese, ma prima che questi la fondesse la notizia del ritrovamento dell’antica iscrizione giunse allo storico e vescovo Agostino Giustiniani, che ne promosse l’acquisto da parte del governo della Repubblica di Genova. Il testo, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1520 da Jacopo Bracelli, cancelliere della Repubblica di Genova, fu poi tradotto in italiano dallo stesso Giustiniani che lo riportò nei suoi “Annali” [2], dandone un’ampia descrizione.

I fatti ai quali si riferisce la “Sententia” si svolsero nel II secolo a.C., periodo in cui si stava consolidando il predominio romano in Liguria. Prima dell’avvento dei romani, i Liguri erano dediti ad attività silvo-pastorali, e vivevano in villaggi di capanne situati nei ripiani di mezza costa o arroccati sulle cime dei monti. Intorno al VI secolo a.C. gruppi di Liguri della Val Polcevera venuti a contatto con Greci ed Etruschi avevano costruito, presso il porto del Mandraccio, approdo naturale sulla rotta per Marsiglia, allora colonia dei Greci, la città fortificata di Genova, che grazie ai traffici marittimi, prosperò rapidamente. I Genuati (il cui tenore di vita era di gran lunga superiore ai loro vicini dell’entroterra) intrattenevano anche i contatti con i Romani, divenuti più stretti nel III secolo a.C.; durante la seconda guerra punica Genova era loro alleata (mentre altre tribù liguri, sia a ponente che a levante, stavano dalla parte dei Cartaginesi) e per questo nel 205 a.C. fu distrutta da Magone Barca, fratello di Annibale. La città fu ricostruita in pochi anni con l’aiuto determinante dei Romani, che incaricarono il propretore Lucrezio Spurio di sovrintendere all’opera di ricostruzione. Nei decenni successivi i Romani estesero il loro dominio sulla terra dei Liguri, sconfiggendo le tribù del levante e del ponente che li avevano aspramente contrastati. In questo contesto Genova manteneva una posizione predominante sulle tribù dell’entroterra, tra le quali i Viturii Langenses (dal cui nome deriva quello dell'attuale Langasco, frazione di Campomorone al centro della zona un tempo abitata da questa tribù ligure), con i quali era sorta una controversia sull’uso delle terre comuni, che aveva dato luogo all’arbitrato del Senato romano. Intorno alla metà del II secolo a.C., i Romani costruirono la Via Postumia che da Genova attraverso la Valpolcevera conduceva oltre l'Appennino, a Libarna (presso l’attuale Serravalle Scrivia), collegando la costa ligure alle colonie romane della pianura padana.

I tentativi degli storici di individuare con precisione il territorio oggetto della controversia, seguendo i dati riportati sull’iscrizione, sono stati numerosi e non sempre coincidenti fra loro. La principale difficoltà è dovuta al fatto che i nomi attuali dei monti, dei torrenti e delle valli sono completamente diversi dai toponimi usati dagli antichi liguri, minuziosamente annotati dai fratelli Minuci nella sentenza. [4]Secondo le ricostruzioni più accreditate, la zona al centro della vertenza è situata nell’alta Val Polcevera, principalmente nel territorio dei comuni di Campomorone e Mignanego, ma si estende anche a zone che oggi appartengono ai comuni di Ceranesi, Fraconalto e al quartiere genovese di Pontedecimo. [5]L’agro privato aveva al suo centro la collina sulla quale oggi si trova il paese di Langasco (e dove allora sorgeva il castello dei Langensi), e comprendeva le aree tra i torrenti Verde e Riccò dove oggi sorgono gli abitati di Campomorone e Mignanego (Vetrerie). La via Postumia attraversava quest’area sul crinale che divide le due valli, tra le attuali località di Madonna delle Vigne (Mignanego) e Pietralavezzara (Campomorone), in vista del Passo della Bocchetta.L’agro pubblico, assai più vasto, racchiudeva l’agro privato formando un triangolo delimitato dai torrenti Verde e Riccò e a nord dallo spartiacque appenninico. L’area giungeva quindi fino a Pontedecimo, alla confluenza dei due torrenti, occupando il versante sinistro della Val Verde e quello destro della valle del Riccò; a nord il confine dell'agro pubblico seguiva lo spartiacque appenninico tra la Colla di Praglia e il passo dei Giovi, passando per il Bric di Guana, il monte Taccone (il monte Boplo della “tavola”), il monte Leco (il monte Tuledon della “tavola”), il passo della Bocchetta e il vicino pian di Reste, da dove allora la Via Postumia proseguiva verso Fiaccone (oggi Fraconalto), per dirigersi poi a Libarna (Serravalle Scrivia). In corrispondenza dell’attuale Passo della Bocchetta nell’area erano comprese anche piccole zone oltre lo spartiacque appenninico, nella Val Lemme e nella Valle Scrivia. Sono citati alcuni luoghi fortificati o castellari, in parte almeno ipoteticamente rintracciabili, come il “castello detto Aliano” ("castelum qui vocitatust Alianus"), posti sui crinali dei monti che dominavano i vari passi appenninici. Il presunto termine della Tavola di Polcevera che si trova nei pressi dei Piani di Praglia.A seguito della vertenza vennero posti alcuni cippi, grossi pietroni a monolite incassati in verticale. Almeno due di essi sono stati identificati. Il primo si trova su un’altura nei pressi della località “Prato del Gatto”, a poca distanza dalla strada provinciale dei Piani di Praglia, nel luogo che dovrebbe corrispondere al “Mons Lemurinus” della Tavola (“inde sursum iugo recto in montem Lemurinum summum, ibi terminus stat”); un altro si troverebbe oggi sommerso dalle acque del lago artificiale della Busalletta, nel fondo della valletta che divide i comuni di Mignanego e di Fraconalto, tra le località case Torre (Fraconalto) e Bisonea (Mignanego).